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lunedì 17 dicembre 2007

Il primo tetto non si scorda mai

Due buone notizie in questo week end.
La prima è che la casa è arrivata a tetto! Come potete vedere dalla foto, sia il tetto piccolo che quello grande sono completi, appena in tempo, hanno finito qualche ora prima che iniziasse a nevicare.
La seconda notizia è che, appunto, ha nevicato e siamo sopravvissuti alla nostra prima neve.
Delle due notizie, la prima è di gran lunga la più importante: se ci avessero detto, nel settembre 2005, quando abbiamo visto la nostra futura casa, che avremmo impiegato 2 anni solo per vederla ristrutturata non ci avremmo creduto, eppure... una cosa che si impara in Italia è la pazienza.
La casa è bellissima: siamo entrati dentro e, finalmente, l'abbiamo vista senza i ponteggi per le solette, ampia, libera, in tuttta la sua grandezza. E le travi /assi del tetto sono splendide, sono in legno chiaro che speriamo diano un po' di luce a dei soffitti leggermente bassi. Insomma: è bella, è grande, è nostra.
E poi la neve, la nostra prima neve da quando siamo qui.
Devo dire che abbiamo retto bene, per essere dei cittadini. Avevamo stivali, guanti, giacche pesanti, il famoso spray per scongelare la macchina (ma non funziona tanto bene sulla neve, meglio la solita palettina), niente cadute rovinose sui marciapiedi ghiacciati. Devo anche dire, con un certo orgoglio, che ormai non ci vestiamo neanche tanto pesanti, probabilmente ci stiamo abituando al clima...
La cosa più buffa che ho visto dal benzianaio un signore che con estrema solerzia lavava la macchina per togliere la neve!!! Ma daiiiiii, ma che spreco è?!? Ma un po' di neve sul cofano non ha mai fatto male a nessuno...

martedì 4 dicembre 2007

Punto e a capo


La prima volta che ne ho visto uno, non ci ho fatto neanche caso, in fondo era solo l'orario della farmacia, uno di quei posti dove raramente metto piede. Poi l'ho notato sulla porta dell'erboristeria, del macellaio, di una cartoleria. E improvvisamente mi è saltata agli occhi l'assoluta anomalia della cosa.
A Castelcinto e nei tanti paesini della zona, gli orari dell'apertura e chiusura dei negozi sono appesi sulla porta d'ingresso, e fin qui nulla di strano, ma spesso sono ricamati a mano. Capite? Il proprietario, o qualcuno per lui, è uscito, ha comprato la stoffa apposita, ago, filo, ha studiato uno schema, una decorazione, si è messo lì e si è ricamato il suo bel quadretto da appendere alla porta.
Pazzesco.
Questa è una di quelle cose che mi commuove. Questi quadretti sono belli nella loro precisione, con i colori pastello e le cornicette laterali, danno un senso di ordine, di regolarità, di amore per quello che si sta facendo.
Ancora una volta, mi sembra di essermi trasferita in un posto veramente senza tempo.

venerdì 30 novembre 2007

La nebbia agli irti colli

Se mi aveste chiesto, fino a un anno fa, cos'è per te la nebbia, avrei risposto con sufficienza: come cos'è la nebbia, è quella roba bianca, un po' tipo nuvola, che c'è a Milano e nella pianura Padana, roba strana, vista poche volte. Bon, basta così.
Un anno dopo eccomi qui pronta ad intavolare una complessa analisi del fenomeno "nebbia" che, dopo lunghe indagini, sembra effettivamente un po' più articolato del previsto.
Partiamo dal colore: la nebbia è irrimediabilmente bianca, ma non bianchetta, biancuccia, biancoletta un po' trasparente. No. Proprio BIANCA, di quel bel bianco sparato da sembrare la parete di casa tua, stesso colore e spessore.
E poi, la consistenza: scordatevi le soffici nuvolette, tanto paffute, che viene voglia di involtolarcisi e schiacciarci una pisa dentro. La nebbia è FREDDA, fredda e bagnata. E' tipo acqua nebulizzata che bagna gli occhiali e arruffa i capelli come solo lo scirocco potrebbe fare.
Ancora, la direzione: la nebbia non scende mai, sale sempre. Sale dai fiumi, in alto verso gli argini, poi la riva, più su ancora, verso il pianoro, le strade, i palazzi i tetti. E quando sale sembra una mano, con lunghe dita bianche che ghermiscono i paesi, le piazze, le persone. Fa una certa impressione!
Infine, la cosa più bella, che ai miei occhi è anche la più strana: se c'è nebbia, IsoRadio docet, c'è alta pressione e se c'è alta pressione vuol dire che la giornata volgerà al bello.
Quindi, e qui si dimostra una certa conquistata paesinità, alle 6 del mattino, quando nel buio pesto (e nel freddo caino dei soliti -2) Jeeg ed io ci avviciniamo alla macchina cercando di identificarla tra la nebbia e la brina è con un certo orgoglio che affermiamo ad alta voce, di modo che gli altri pendolari ci possano sentire: mmmh... nebbia e brina, oggi farà sicuramente bello!

lunedì 19 novembre 2007

giovedì 15 novembre 2007

Brrrrrr


0, -1, -2, -3 -4!!!
Stamattina al paesino eravamo a -4, santa cleopatra, credo di avere provato l'ebbrezza di un -5 in città solo una volta, quando ancora abitavo a Torino. Certo che -4 a novembre non sembra promettere nulla di buono.
L'altro ieri parlavo con il signore della lavanderia (che è gentilissimo e ama conversare del più e del meno) e mi preannunciava la neve per questa settimana. Vedendo la mia faccia sbigottita mi dice, ma signorina non si preoccupi, non sarà mica come una di quelle belle nevicate di una volta! Si ricorda, neh, quando faceva un metro di neve a Santa Caterina? (ehm,veramente non so neanche quando sia Santa Caterina...) Eh, quei bei nebbioni di un tempo, quella bella neve!
A volte mi chiedo se Jeeg ed io eravamo nel pieno possesso delle nostre facoltà mentali, quando abbiamo scelto di trasferirci...

giovedì 8 novembre 2007

Indovina chi


Quando ero piccola la Dada, mia nonna, mi aveva comprato il gioco dei cartamodelli: c'era la sagoma di una ragazza bionda in cartone vestita solo con una sottoveste e tutta una serie di vestiti, sempre in cartone, che si potevano applicare alla bambola, piegando le linguette bianche poste sulle spalle e sui fianchi. Era un gioco semplice, come tutti i giochi dei primi anni '70, ma mi piaceva da matti poter cambiare i vestiti alla mia bambolina praticamente senza nessuno sforzo.
A ben vedere è un gioco che continuo a fare ancora oggi, solo che lo faccio dal vero, con chiunque mi capiti a tiro.
Funziona così.
Girando per il paesino, incontro sempre le stesse persone, il paese è piccolo, le anime 11.000 e anche sforzandosi di andare in posti originali (meccanico, negozio biologico, bottega araba) la gente è sempre la stessa. Il problema è: dove cavolo li ho già visti?
In coda dal meccanico ad esempio, vedo un volto conosciuto, non così conosciuto da identificarlo al volo, un pochino conosciuto, tanto da pensare uh, questo lo conosco, ma dov'è che l'ho visto?
E qui scatta il cartamodello! Immagino di applicare al signore in questione una serie di vestiti immaginari: la tuta da elettricista, la divisa della Bennet, il camice da infermiere, il giubbino del muratore, l'uniforme da vigile... ma certo, è il macellaio!!!
L'unico problema sorge quando il solo indumento che sembra calzare a pennello è il camice bianco, lo usa un sacco di gente. In questo caso, dovete inserire un paio di dettagli: camice bianco più coltellaccio da macellaio, oppure camice bianco e stetoscopio, camice bianco e barattolone di tisana (per l'erborista), cose così.
Lo so che voi gente di città non incontrate mai nessuno che conoscete, che volete farci, invece noi gente di campagna ci divertiamo con poco.

martedì 6 novembre 2007

Cercansi controfigure 2

Dopo il successo dello scorso giugno, torna a grande richiesta il concorsone "Cercasi controfigura".
L'aspirante concorrente, questa volta, deve sostituirmi in un'unico, facilissimo, compito: indignarsi al posto mio.
Onestamente, non ne posso più: truffe, inciuci, puntate di Report e di Porta a Porta, telegiornali, blog di Beppe Grillo, pagine di cronaca, i precari, i clandestini, le ferrovie, l'Alitalia, la camorra, gli stupri, i pedofili, il petrolio, i bambini armati, le guerre...
Non ce la faccio, davvero.
E allora ecco qui la proposta: assumo uno che si indigni per me, io vedo il telegiornale e a lui vengoni i crampi allo stomaco; io leggo "Gomorra" e lui si mette a piangere; io firmo il 18° contratto da Co.Co.Co. (sic) e lui si sente un fallito, cose così, non è difficile.
Come sempre, si promettono lauti compensi e un orario flessibile.

lunedì 29 ottobre 2007

Risky business (affari pericolosi)

Sto per inimicarmi metà della famiglia, pazienza, è giunto il momento di fare outing e dichiarare al mondo la mia difficile condizione di moglie di ingegnere.
Andiamo con ordine.
Mio papà è ingegnere, mio nonno materno è ingegnere, mio zio Boss è ingegnere, così come mio zio Il Giusto e lo zio Scroogy. Uno dice, sapevi a cosa andavi incontro. Okkey, okkey, chi è causa del suo mal pianga se stesso, è inutile piangere sul latte versato e via di seguito.
Premetto che non ho nulla di personale contro gli ingegneri, ci mancherebbe, anzi li trovo particolarmente razionali, organizzati, puliti, spiritosi e stimolanti.
Restano tuttavia ingegneri.
Ieri sera, insieme a Jeeg, ho deciso di preparare la marmellata di mele cotogne, la ricetta diceva:

3 kili di mele, 1 kilo di zucchero
Pulite le mele cotogne e fatele cuocere a fuoco lento insieme allo zucchero, in una padella antiaderente finché non saranno cotte. Invasate e conservate in un luogo fresco ed asciutto.

Basta, niente altro.
Andiamo al supermercato, a comprare i vasetti: Jeeg fa un complicatissimo calcolo, trasformando i kili delle mele in litri, il peso dello zucchero in acqua, sommando i litri di mele e quelli di zucchero e decide di comprare 6 vasetti, per un totale di 3 kili. Mi sembrano tanti, ma non insisto, il capo è lui, lui calcola io eseguo.
Puliamo le mele, poi gli dico, mettile nel pentolone con lo zucchero, coprile e lasciamo cuocere.
Jeeg mi chiede se ci mettiamo dell'acqua, no, la ricetta non la prevede. Se sicura? perchè forse è meglio mettercela. No, non ci vuole acqua.
Passano 5 minuti.
Io ci metterei dell'acqua, perchè comunque le mele sono asciutte, lo zucchero è solido... Non ci vuole acqua, come te lo devo dire? Ma quando facciamo la salsa ci vuole, ma questa è marmellata, non ci vuole acqua. Io ce la metterei.
Passano 5 minuti.
Però forse con un po' d'acqua... AAAARGGGHHHHH.
Questo per dire che l'ingegnere non molla.
Mai.
Se ha un'idea, se nella sua testa la composizione chimica di un qualunque cibo, oggetto, prodotto prevede certe operazioni bisogna farle assolutamente.
La flessibilità non è prevista, l'approssimazione neppure, la creatività non ne parliamo.
Alla fine, dopo che le mele hanno dato circa 8 litri d'acqua che si è asciugata lentamente, le abbiamo invasettate.
Ps. Per la cronaca, erano sufficienti 3 vasetti, non 6.
E ora sparatemi pure.

giovedì 25 ottobre 2007

Tempo di brina

Ragazzi ci siamo, è arrivato il freddo. -2 lunedì, -1 l'altro ieri, coloriferi accesi, piumone pesante. Non si può dire che l'inverno al paesino passi inosservato.
Una delle cose che mi piace di più è l'odore di legna che hanno i panni stesi: ritiro il bucato e il profumo del detersivo è mischiato a quello della legna, questa cosa mi fa impazzire. E poi le foglie: la campagna è un filare unico, vigna di dolcetto e barbera soprattutto, e d'autunno con i primi freddi le foglie diventano di un colore meraviglioso, un rosso bruno carico che tinge tutta la terra, commovente.
E la nebbia, gli alberi sfogliati che si ergono tremolanti nella bruma mattutina, le sagre delle caldarroste con il vino rosso, l'odore di mosto per le strade... Insomma, rispetto alla città dove ti accorgevi che era autunno solo perchè il traffico triplicava, e ricevevi il triplo di insulti in scooter, c'è una bella differenza.
Ma c'è anche l'altro lato della medaglia.
Al mattino, ad esempio, bisogna scongelare la macchina che troviamo incastonata in una crosta di brina, manco fose un'orata al sale. Ci siamo comprati due palettine di plastica, ma la cosa è lunga e laboriosa: bisogna accendere la macchina, con il riscaldamento a stecca, scendere e cominciare a spalettare il parabrezza, grattando la brina un po' alla volta. Eppure non vedevamo nessun altro fare 'sto lavoro...infatti abbiamo scoperto che tutto il resto del mondo usa un pratico spray che scioglie la brina in un secondo, a quanto pare la palettina è fuori commercio da circa 20 anni!
E poi la neve: soprattutto io ho paura di trovarmi in autostrada, da sola, bloccata nella tormenta senza cibo e mezza surgelata.
L'altro giorno siamo andati dal meccanico ad informarci per le catene, ne abbiamo un paio, naturalmente, ma volevamo vedere se c'era qualcosa di più pratico da montare.
Il meccanico ci guarda, catene eh, ma voi di dove siete? Come di dove siamo, siamo di qui. No che non siete di qui, secondo me siete della città. Sì siamo della città, ma viviamo qui (ma chi è sto qui, Giucas Casella?), ah ecco, lo sapevo che non eravate di qui (come cacchio fanno, che ci sgamano sempre???), qui nessuno usa più le catene da almeno 10 anni, montiamo su le gomme da neve e via, anche in autostrada vanno benissimo. Ah ecco. Gomme da neve.
Babbè.
Io non so quanto ci vorrà, ma giuro che anche noi, un giorno, potremo dire "siamo di qui"e nessuno, mai mai, potrà più contraddirci.

martedì 23 ottobre 2007

Sbatti la Mucca in prima pagina

Vivere nel paesino è meraviglioso, ormai lo sapete, non vi tedierò oltre.
Una delle cose che a me e Jeeg piacciono immensamente è fermarci in piazza e leggere le locandine dei giornali locali.
Ragazzi, che forte!!! ci sono dei titoli spaziali, che a me fanno una tenerezza incredibile abituata come sono alle locandine della città.
Ecco una selezione di titoli:
- ROSSI SFIDA IL K2(come se tutti sapessimo chi è questo Rossi, forse gli unici a non conoscerlo siamo Jeeged io...)
- VILLA PANETTI: SPOSTATI PESCI E FIORI (questo è dolcissimo, fiori e pesci... e chissà dove sono finiti!?)
- QUALITA' DELL'ARIA: NON E' TANTO BUONA (ah no??? prova a farti un giro in centro in città, poi mi sai dire..)
- TRAFFICO IMPAZZITO, CIRCOLAZIONE IN TILT (ma dove??? ma se al massimo vedo circolare un paio di trattori e due motorette dell'anteguerra?)
- ELETTA MISS MUCCA 2007 (cavolo, e io che non ho manco partecipato!!!)
- DURO COLPO ALLA DROGA: PRESI 2 PAESANI(Totò Riina e Vito Corleone ci fanno un baffo!)
- ROSSI IN VETTA AL K2! (congratulazioni, chiunque tu sia...)
- SCUOLE MEDIE: PAESANI TUTTI PROMOSSI (meno male, temevamo un pochino in effetti...)
- ORMAI I PAESANI SCOMMETTONO SU TUTTO (a parte che non ho mai visto un titolo di giornale iniziare con "ormai", ma una padellata di affari vostri???)

E così di questo passo, altro che New York Times!

lunedì 15 ottobre 2007

Love Boat de noantri


Chi era giovane negli anni '70 forse ricorda questo melenso telefilm intitolato "Love Boat": le puntate erano tutte ambientate su una nave da crociera enorme dove succedeva di tutto (vi lascio immaginare il pathos e la suspense...) ma la cosa che mi piaceva di più era senza dubbio la sigla. Se non l'avete mai sentita mi spiace per voi, ma se l'avete in mente allora sapete cosa mi risuona nelle orecchie quando mi parlano i muratori e la geometra e il capocantiere che eseguono i lavori alla nostra casa nuova.
E' più forte di me: loro parlano (di putrelle, di travi, di angolazione del tetto, di coppi, di tegole portoghesi, di fibra-cemento, di isolante, di condensatori, di puffer, di coefficiente termotecnico, di caldaie...) e io sento le onde del mare e, sulle onde del mare, riecheggia la sigla di Love Boat. Allora mi sforzo, mi concentro ancora di più, stappo le orecchie, aguzzo la vista ma non c'è niente da fare: il rumore dei gabbiani, lo sciabordio delle onde e l'immancabile sigla hanno la meglio su qualunque cosa. Devo rassegnarmi, le mie capacità tecniche sono quelle di un troglodita.
Questo spiega ad esempio perchè la prima volta che sono entrata nella casa e ho fisicamente visto le mura della cucina ho capito quanto fosse grande, ma come, non hai visto i progetti prima?!? Sì, ma purtroppo anche lì c'era il karaoke con la sigla, guardavo i progetti ma non è che riuscissi a visualizzare granchè...
Meno male che il mio ingegnerissimo marito è preciso e puntiglioso e ha la fantasmagorica capacità di riuscire a visualizzare la rotazione dei solidi nello spazio e si occupa di tutto quanto!!!
Fosse per me, dopo anni di trattative, sono certa che mi ritroverei con una bella cabina bianca e blu al posto di una casa su 3 piani.

venerdì 12 ottobre 2007

Paesino VS Olanda =0 -4

Il Paesino non è l'Olanda.
So che la maggior parte di voi aveva ancora dei dubbi, invece... ragazzi, facciamocene una ragione, sono proprio diverse. E io che mi credevo che la vita nel paesino erano tutti fiorellini!
Andiamo con ordine: di ritorno dalla nostra fantastica vacanza olandese Jeeg ed io, gasati come due 15enni, abbiamo deciso di comprarci la bicicletta e cominciare a girare per le dolci colline del circondario.
Ah, che meraviglia, sognavamo ingenui, l'aria fresca, le sane pedalate, le domeniche di autunno passate in bicicletta a raccoglier funghi e castagne... sì, vabbè, c'è qualche salitina, ma che importa, siamo allenati noi!
  1. Primo dato di fatto: le biciclette in Italia sono più piccole di quelle olandesi, pertanto, dopo avere girato per mari e monti in tutti i negozi di cicli e avere constatato che le mie gambe sono eccessivamente lunghe per qualunque tipo di bici da donna ho comprato una bici da... donna. Come, ma non avevi detto che erano piccole? Sì, ma magari era solo un'allucinazione! No, era proprio vero. Perciò dopo una settimana l'ho riportata al negoziante (che voleva uccidermi strozzandomi con una catena da bici) e ho ordinato una bici da uomo;
  2. Secondo dato di fatto: le colline sembrano colline, in realtà appena inizi a salire si inclinano di 40° e tu ti ritrovi con i polmoni appesi alle orecchie, semi svenuta per la mancanza di fiato, le gambe in fiamme e gli occhi strabuzzati, nello sforzo innaturale di spingere la dannata bici fino alla dannata cima.
  3. Terzo dato di fatto: le discese dopo la salita sono tanto carine, è vero, ma la velocità che si acquisice in breve tempo e il vento conseguente fanno si che tutto il corpo si raggeli in pochi minuti, il sudore si trasformi in stalattiti e le falangi aggrappate al manubrio si stacchino una alla volta dopo alcuni secondi;
  4. Quarto dato di fatto: agli automobilisti italiani importa una beneamata cippa che tu voglia restare in vita almeno per i prossimi 40 anni, tentano in ogni caso di farti fuori, anche con trucchi puerili tipo spalancarti la portiera davanti all'ultimo secondo;

Ce ne sarebbe per appendere la bici al chiodo e non pensarci più. Ma Jeeg ed io siamo tenaci, non demordiamo facilmente e poi, cavolo, se abbiamo scelto il paesino anzichè l'Olanda un motivo ci sarà!!! (anzi facciamo così: chi di voi lo indovina, il motivo, vince una pedalata sulle colline a suo sforzo e fatica ;)))

mercoledì 3 ottobre 2007

Come Siddharta


Mi ripeto e sono noiosa, ahimè, un po' è l'età, un po' è che finchè questo progetto della casa non andrà in porto nè io nè Luca avremo spazio mentale per qualcosa d'altro.
Qualunque idea, qualunque piano, qualunque intenzione ci passi per la mente avverrà a seguito del nostro trasferimento nella casa nuova. Ragazzi, che impresa! Se ci avessero detto nel 2005, quando l'abbiamo vista per la prima volta, che a fine 2007 saremmo stati ancora in ballo, non ci avremmo creduto. Per due impazienti come noi, due ansiosi, abituati ad avere un'idea e a realizzarla, 1-2-3 pronti via, aspettare e aspettare e aspettare ancora è una sottile tortura.
Herman Hesse, nel suo racconto più celebre, fa dire a Siddharta che dai lunghi anni di meditazione con i Samana ha imparato due sole cose: a digiunare e ad aspettare. Ora, il significato del digiuno mi è sempre stato chiaro: il digiuno come forma di purificazione del corpo e dell'anima, come via per incontrare se stessi, una tecnica millenaria per raggiungere chiarezza mentale sulla via dell'illuminazione. Ma aspettare? Che significa saper aspettare? mi chiedevo a 20 anni.
Il significato dell'attesa si è rivelato in questi ultimi anni. Aspettare significa che i tempi siano maturi, che il mondo sia pronto ad accogliere il tuo progetto e le tue idee, che noi stessi siamo pronti a realizzare. Il tempo è un concetto relativo, e va bene, ma "prima" in questo caso significa che non va bene, che la cosa che stai cercando di fare è ancora incompleta, incompiuta, immatura e per queste ragioni inutilizzabile in tutto o solo parzialmente. E "dopo" significa che è tardi, che hai perso l'attimo e l'occasione, che è già passato il tuo momento e chissà quando torna. Aspettare significa essere nell'attimo giusto, quando tempo e spazio, le due coordinate fondamentali, saranno perfette, il tuo momento verrà, nè prima, nè dopo.
Questo è.

giovedì 27 settembre 2007

In & Out


L'altro giorno, mentre sul treno osservavo 4 ragazzine sedute vestite in modo identico, con scarpe, jeans, mutande (si vedevano anche quelle), felpe uguali, con gli stessi zaini e pettinate, truccate, atteggiate in modo assolutamente conforme ho pensato a Jessica.
Jessica era in classe con me alle medie ed era, a soli 11 anni, quella che oggi definiremmo una "fashion designer", faceva tendenza, dettava moda, inaugurava stili e la sua parola era legge. Vestivi come diceva lei? Eri dentro. Ti vestivi in modo autonomo, secondo quello che piaceva a te? Eri fuori, emarginata, nessuno ti rivolgeva la parola, derisione e indifferenza, questo era quello che ti spettava.
Naturalmente nessuna di noi voleva essere relegata in un deserto di solitudine, perciò ci affannavamo in una corsa senza fine nella speranza di azzeccare colori, taglie, modelli e compiacere il nostro Capo, ignorando di essere come Achille e la tartaruga, non l'avremmo mai raggiunta.
Ora, ripensando a Jessica e alle sue "trovate" modaiole, mi vengono i brividi, credo di non essermi mai vestita tanto peggio come in quei 3 anni.
Nell'ordine, ricordo con orrore di avere indossato:
- una fascia in spugna con i colori dell'Italia sulla fronte e, contemporaneamente, due polsini, ovviamente in spugna, con la bandiera francese ai polsi;
- delle calze, naturalmente in spugna, bianche con dei cuoricini rosa e azzurri (Jessica avrebbe preferito gialli, ma non li ho trovati);
- degli orecchini con un grande cuore blu che erano pieni di nichel, cui sono allergica, e mi facevano venire delle orecchie enormi, gonfie di pus e doloranti;
- una fetentissima tuta da ginnastica azzurrina, con delle righine rosse, che odiavo con tutta me stessa ma che Cinzia trovava D-E-L-I-Z-I-O-S-A;
- qualcosa come 10-12 braccialettini in simil stoffa plasticosa che si compravano in merceria e che per attaccarli al polso bisognava bruciarne le estremita sul fornello, cosa che, facendo da soli, provocava piccole ma dolorose ustioni alla pelle;
- una striscia di cuoio, lunghissima, arrotolata a spirale al polso su modello di Morten Harket, cantante degli A-Ha, che bisognava farci la doccia perchè era impossibile da togliere e rimaneva umida per ore e stingeva di marrone, oltre a puzzare leggermente di muffa;
- delle strisce di pizzo bianco, Madonna docet, che usavamo al posto delle stringhe nelle fantastiche scarpe da ginnastica rosa metallizzato comprate per l’occasione;
- calze, maglioni, fermacapelli fosforescenti;
- un Woodstock giallo di stoffa applicato sul giubboto di jeans, ma a Cinzia non è piaciuto perchè secondo lei era troppo slavato e poco giallo;
E stendiamo un velo pietoso sulle pettinature e sul trucco, che a rivedere le foto di allora mi vien voglia di ritoccarle con Photoshop, sono truccata a 13 anni come Platinette nei suoi momenti migliori.
So che non serve a nulla mettere in guardia le future generazioni sul bisogno adolescenziale di conformarsi a modelli più o meno autorevoli, perciò non dirò nulla... però ragazze, fate attenzione: chiunque vi emargini solo per un paio di calzini, non è degno nemmeno di allacciarvi le scarpe.

venerdì 21 settembre 2007

Mamma piazza, 2

Una volta mia cugina mi diceva che vivere in una piccola cittadina aveva i suoi vantaggi, certo, ma anche grossi svantaggi e, secondo lei, uno di questi era il fatto che ci si conoscesse tutti e che non eri poi tanto libero di muoverti come ti pareva perchè tutti, cioè i nostri genitori, l'avrebbero saputo immediatamente.
Per me e per la mia famiglia, da sempre vissuti in grandi città, questo "conoscersi tutti" è sempre stato un'idea vaga, mitologica, come diavolo fai a conoscerti tutti quando si è in 600.000?
Ora lo so.
Da quando vivo al paesino ho già assistito a 3 battesimi, un paio di matrimoni, una comunione multipla e 3 funerali. Tutti di gente che non conoscevo assolutamente.
Funziona così: uno esce di casa e entra in piazza e dall'umore della piazza, dal silenzio oppure dalle risa, dalla gente che c'è, da come è vestita si capisce subito di cosa si tratta.
Perchè in piazza c'è la chiesa e la chiesa è il catalizzatore di tutti gli eventi, regola la vita delle persone dalla nascita fino all'ultimo respiro.
E allora un giorno esci e senti subito il silenzio, un silenzio innaturale, profondo, e mentre cammini pensi che strano questo silenzio, eppure oggi non è festa e mentre cammini, assorto, cercando di ricordarti se è qualche santo strano di cui non ti ricordi sbuchi in piazza e capisci. Capisci subito, perchè la piazza è piena, ma tutta la gente è assiepata ai bordi e il centro è vuoto, e tutti i negozianti sono fuori dai loro negozi e bisbigliano in silenzio che era così buono, ma tanto malato, eh, tutti se l'aspettavano, ma poi quando succede davvero non si è mai preparati.
Io mi fermo sempre in questi casi, a guardare i parenti, gli unici al centro della scena, compiti e seri, guardo e mi chiedo chissà chi era questa persona, cosa ha fatto, come ha visuuto e guardo gli altri intorno a me, in silenzio, partecipi del dolore e vicini anche a chi non conoscono. E penso che mi piacerebbe andarmene così, circondata non solo dai miei, dagli amici, ma anche dalle persone che ho incontrato ogni giorno, conoscenti per modo di dire, persone sconosciute, in una piazza gremita di gente che mi manda un pensiero, per l'ultima volta.

martedì 18 settembre 2007

Inglese, mon amour


L'italiano è senza dubbio una lingua molto complessa, articolata, difficile da imparare e parlare bene per noi italiani, figuriamoci per gli stranieri.
Tuttavia è lingua che bene si adattta alla poesia, alla lirica, alla fantasia. Ricordo un ragazzo norvegese, conosciuto anni fa durante una vacanza, che si rammaricava di non conoscere così a fondo la nostra lingua da poter leggere in lingua originale la "Commedia" di Dante.
Ma non sembra che la cosa ci inorgolisca granchè, visto che in ogni luogo e in ogni situazione spuntano come funghi improbabili scritte in inglese, talmente maccheroniche da risultare assolutamente esilaranti.
In tutti i bar d'Italia, ad esempio, oltre al caffè e al cappuccino servono anche il "The", famoso articolo determinato maschile, femminile, neutro e plurale. Chissà se mai qualcuno si accorgerà che si scrive Tè? O, all'inglese, Tea?
Ma questo è ancora nulla.
In città, un bar del centro si intitola "Bar Sympathy", cioè "Bar Comprensione" (nel senso di pietà), ma chi glielo dice al proprietario, che sicuramente voleva che il suo bar si chiamasse "Bar Simpatia"?
Sempre nella mia ex città, c'è il famoso concessionario "University Cars", cioè "Macchine Universitarie". Ovvio che intendevano "Università delle Macchine", nome altisonante e prestigioso, in realtà ogni volta che ci passo mi viene da entrare e chiedere se per noi che lavoriamo all'Università è previsto uno sconto.
C'è poi la rinomata "Back School", dove dovrebbero curare il mal di schiena, ignorando invece che l'hanno chiamata "Scuola Posteriore". Mah?
Last but not least, ieri sera a Jeeg hanno regalato due lattine dell'ultimo beverone energizzante, sponsorizzato con la scritta "Now Extra Potent". Ora, è vero che "potent" vuol dire potente in inglese, ma è una licenza poetica, un aggettivo talmente desueto da non essere assolutamente utilizzato.
E' come se, in italiano, avessero scritto sulla lattina "Bevi XXX, da oggi super virile!!!"

mercoledì 12 settembre 2007

pant...pant

Travolta da un insolito destino nel fognoso fiume dell'ufficio, la sottoscritta lascia i pochi averi e i molti debiti a chiunque vorrà farsene carico.
Riapparirò su queste pagine non appena l'insolito destino volgerà il suo sguardo altrove e potrò nuovamente respirare.
Adieu.

venerdì 7 settembre 2007

Dimmi che faccia hai...

Da un paio di settimane in ufficio circola un programmino per creare avatar in stile South Park: una meraviglia. Non solo colleghi e amici sanno se siamo connessi o meno, ma possono anche chiaramente vedere di che stato d'animo, umore, forma fisica, abbigliamento siamo. E questo nonostante si sia nello stesso ufficio, a pochi centimetri di distanza.
Non so cosa sia che ci spinge a comunicare così tanto di noi, come se gli altri potessero essere preoccupati dai nostri umori e dalle nostre vite come lo siamo noi stessi, chissà, fatto sta che a distanza di pochi giorni, a volte poche ore, modifichiamo il nostro avatar ad hoc e tutta la cerchia di amici e conoscenti sa esattamente cosa ci sta capitando.
Se volete un assaggio della nostra fantasia cliccate sull'immagine sotto.

martedì 4 settembre 2007

Back in the Tunnel of Pattons

Ritorno al Tunnel di Pattoni - e per chi ignorasse cos'è pregasi guardare il fantastico filmato .
Ok, ferie finite, torta di riso anche e da stamani si rientra in ufficio: solito traffico in autostrada, solita aria condizionata a stecca sul treno (e conseguente bronchite dei pendolari, forse pensano di risolvere il problema del sovraffollamento sui treni mandandoci tutti all'altro mondo, chissà), solita scrivania, solito lavoro. E stasera si rientra in palestra, olè.
L'ultima settimana di ferie è stata meravigliosa, devo dire che le vacanze in montagna hanno sempre un sapore particolare, la Val Veny poi è davvero speciale.
Un'unica segnalazione di rilievo, abbiamo scoperto che i francesi, tra i tanti difetti, hanno un grosso pregio: non raccolgono i funghi.
Epperciò, dopo una rapida scollinata nei boschi francesi (vorrete mica indicazioni più precise, eh?) siamo calati come Unni sugli sventurati funghetti, facendone incetta clamorosa, circa 4 chili a testa.
E poi le gite, i pic nic, le grigliate e le raclettate, le mucche, i ghiacciai... stiamo già pensando all'anno prossimo.
Un saluto particolare al Presidente del C.A.G. (Club Alpino Gaetano) e famiglia che ci hanno ospitato e coccolato, GRAZIE!


lunedì 27 agosto 2007

Week end del mezzo bicchiere

Il modo di dire del mezzo bicchiere mi sfinisce: possiamo parlare per anni degli ottimisti che vedono il bicchiere sempre mezzo pieno e dei pessimisti che lo vedono sempre mezzo vuoto e non venire a capo di nulla. E' fuffa, aria fritta, niente di più.
Eppure, il week end appena passato è stato il week end del mezzo bicchiere.
Mezzo bicchiere vuoto, perchè abbiamo cercato come matti di comprare 2 city bike per farci dei bei giretti intorno al paesino ma a quanto pare, data la mia ciclopica, statura (ben 176 cm, ohibò) non esistono biciclette gigantesche per me. Avrei dovuto prendere un modello da uomo ma in caso di gonna, mi faceva notare il saggio commesso, avrei avuto problemi, allora prendo quello da donna, ma è piccolo, allora quello da uomo, ma come faccio con la gonna, allora quello da donna.... e così fino a sera inoltrata.
D'altra parte, bicchiere mezzo pieno perchè ieri siamo riusciti ad andare e tornare dal mare indenni, senza impelagarci nel controesodo, senza prendere multe e parcheggiando addirittura di fronte alla spiaggia!!! Certo, sveglia alle 6, colazione sul mare,alle 7.30 e in spiaggia alle 8.00, ma che importa? la giornata era magnifica, spirava una brezzolina deliziosa e tutto è stato perfetto.
Dulcis in fundo, al paesino c'è stata anche la sagra del gelato con annessi fuochi d'artificio ed è con un certo orgoglio che posso dire "Io e Jeeg c'eravamo"!

mercoledì 22 agosto 2007

Torta di mele

A cosa serve avere un'amica laureata e dottorata, grecista, filosofa, pluriparlante correntemente direi circa 5 lingue, se non a tradurre la ricetta della mitica Appeltart, la torta di mele che ci ha deliziato in Olanda?
Grazie Atena, a breve foto su Flickr con commento dei commensali!
Per voi golosastri, invece, la ricetta in italiano:

Ingredienti per IMPASTO:
  • 300 gr farina
  • 1 bustina di lievito x dolci
  • 175 gr burro freddo
  • 150 gr zucchero
  • 1 cucchiaino da tè raso di sale
Ingredienti per RIPIENO:
  • 1 chilo di mele renette gialle
  • 50 gr zucchero
  • 50 gr uvetta nera piccola
  • 50 gr uvetta marrone morbida
  • 3 cucchiaini da tè di cannella
  • 3 cuccchiaini da tè di succo di limone
  • teglia apribile di 24 cm diametro
Preparazione:
Scaldare il forno a 175° e mettere il supporto una posizione sotto la metà del forno; imburrare la teglia e sbattere l'uovo. Mettere a bagno l'uvetta in acqua tiepida per ammorbidirla. Tagliare il burro a dadini, sbucciare le mele, privarle del torsolo e tagliarle a dadini. Preparare il ripieno mettendo i pezzetti di mela con lo zucchero, l'uvetta, la cannela, il succo di limone in una terrina.
Preparare l'impasto mescolando la farina con lo zucchero, il lievito, il burro il sale e 2/3 dell'uovo sbattuto. Mescolare fino ad ottenere un impasto uniforme. Mettere l'impasto nella teglia, tenendone da parte una piccola quantità, facendo un bordo di 3 cm circa. Aggiungere il ripieno di mela. Fare delle striscioline di pasta e guarnire la torta (come una crostata!).
Spennellare con l'uovo rimanente le striscioline sulla pasta della torta.
Infornare per un'ora e un quarto fino a che è cotta e di colr bruno-dorato. Lasciarla raffreddare nella teglia. Decorare con zucchero a velo e servire con accompagnamento di panna montata.
Buon appe a tutti!

lunedì 20 agosto 2007

9 mesi da campagnola


Oggi sono circa 9 mesi che ci siamo trasferiti al paesino, è tempo di tirare le somme.
Passato lo shock dei primi tempi, in cui la sveglia all'alba e la conseguente corsa in autostrada per raggiungere l'ufficio, riducevano al minimo i benefici possiamo oggi dire con certezza che il cambiamento è stato assolutamente positivo.
Fatico a credere che ho retto a quella vita, a quel rumore, al traffico, allo smog, alla folla per tanti anni; fatico a credere di avere girato in scooter tutti i giorni, nel traffico impazzito, rischiando la vita ad ogni sorpasso. E poi le distanze, gli autobus strapieni, le code negli uffici, la scortesia dei commessi.
Mamma mia.
La prima cosa che salta agli occhi in un paesino è la lentezza, non solo delle persone ma anche delle macchine, delle biciclette, dei discorsi.
E poi l'aria: non ti rendi conto di quanto è buona l'aria fino a quando non esci dalla città. Adesso, dopo alcuni minuti in centro in città già mi brucia la gola, ma come facevamo prima?!?
Ma la cosa più bella è stata il rientro dalle ferie: prima, il rientro (già malinconico di per sè) veniva aggravato dal traffico, dal rumore, dal caldo asfaltato e afoso. Appena dopo un paio d'ore l'effetto vacanza era svanito lasciandoci innervositi come alla partenza.
Venerdì siamo invece rientrati al paesino, passando dalla vita bucolica delle ferie alla vita bucolica di tutti i giorni: che meraviglia!!!
Ragazzi, datemi retta, ci hanno fatto credere per tanti anni che in città fosse meglio, tutto a portata di mano, tutto il divertimento e la "cultura" che volevamo (cinema, teatri, eventi, mostre) , ci hanno dato a bere che la città fosse il meglio per noi e la nostra famiglia (servizi efficienti e moderni), ci hanno fatto pensare che la campagna fosse per gli anziani, persone ormai fuori dal ciclo produttivo, gente un po' fuori dal mondo,
Ebbene come al solito ci hanno fregato!!!
I veri servizi, perlomeno qui in Italia, funzionano quando c'è poca gente ad usarli, i cinema e i teatri ti divertono quando impieghi 5 minuti a raggiungerli e trovi sempre parcheggio. Gli asili, le scuole, gli ospedali funzionano nei paesi, non in città.
Insomma, a parte il lato agreste e bucolico della faccenda, troviamo migliorata di netto la qualità della nostra vita. Che aspettate?
(vi giuro, non prendo soldi: sponsorizzo i paesi gratuitamente!!!)

Mea culpa...


Cari amici,
oggi è il giorno dell'outing, spero che dopo ciò che sto per dirvi avrò ancora degli amici e, ahimè, dei parenti (penso a mia sorella Semola...).
Orsù, il momento è alfin giunto: ebbene, ho comprato... ehm... una paio di CROCS!
Addio.

venerdì 10 agosto 2007

Il meraviglioso mondo di Quark















Come vi avevo già preannunciato, la vacanza in Olanda ha prodotto un sacco di riflessioni interessanti (definizione discutibile, ma questo sarebbe anche il mio blog...) pertanto oggi parleremo del leggendario "Bambino Olandese".
Il bambino olandese, che troviamo in modelli simili in altri Paesi nordeuropei, in Italia è quasi del tutto estinto; ne sono stati avvistati un paio di esemplari in qualche famiglia sparsa per lo stivale ma la scarsità di prototipi non permette ulteriori analisi.
In Olanda, invece, prospera e si riproduce anche perchè, essendo l'unico modello, nessuno sa da chi copiare per adottare un comportamento diverso.
E veniamo ora ad osservarne le caratteristiche: fisicamente agile e tonico è capace di arrampicarsi, saltare, correre, rotolare e andare in bicicletta senza problemi di sorta. In caso di caduta accidentale si rialza senza piangere e ricomincia a giocare.
Generalmente spensierati e giocherelloni questi piccoli fagottini biondi sono capaci di impegnarsi anche in compiti decisamente difficili: rastrellare il giardino, annaffiare piante e fiori, trasportare fratellini in biciclette grandi il doppio di loro, lavare piatti ecc...
Le attività quotidiane vengono svolte con grande semplicità: si lavano, si vestono e mangiano da soli; se fanno qualcosa di pericoloso o inappropriato, vengono ripresi con grande garbo e dopo una breve quanto discreta discussione vengono a patti con i genitori e cambiano gioco o attività.
I genitori di tali bimbi sono decisamente rilassati: non alzano mai la voce, non si esibiscono in scene alla Mario Merola in caso di ruzzoloni, non fanno il numero della biscia impazzita se il bambino si allontana di 20 centimentri, non crollano a terra con gli occhi riversi se il piccolo cade e, orrore orrore, si sbuccia un ginocchio.
In effetti, tutti gli amici olandesi che hanno figli continuano serenamente la loro vita.
Questo, cari amici, è il meraviglioso mondo del bambino olandese.
Se vi vien voglia di provare ad averne uno così suggeriamo una capatina nei dintorni di Amsterdam, provare per credere!

mercoledì 8 agosto 2007

Hai voluto la bicicletta?

Eccoci di ritorno dal consueto pellegrinaggio in terra di Olanda, devo dire che l'umore non è dei migliori ma tutto sommato siamo abbastanza riposati.
Con l'intento di non farci riconoscere come i soliti italiani e di assomigliare sempre di più ai nostri beneamati olandici abbiamo fatto tutte le cose olandesi nel modo più olandese possibile, tipo
sbocconcellare per 10 giorni formaggio e pane su fette di burro salato, brindare ogni sera con la birra bianca dei frati trappisti, ci siamo persino immersi nella (finta) lettura dei quotidiani locali seguendo con apprensione le statistiche sul luglio più piovoso degli ultimi 80 anni ed esultando, infine, per l'arrivo dell'estate con i suoi 30 gradi.
Insomma, piano piano, anno dopo anno, compiamo piccoli progressi che speriamo in un qualche futuro non troppo lontano ci faranno assomigliare a questo popolo così civile.
C'è però ancora una cosa, purtroppo, sulla quale ancora non ci siamo per niente, ed è la bicicletta.
Mannaggia li pescetti.
Ma è così difficile andare in bicicletta come gli olandesi?
Sì.Sì.Sì.
Perchè noi andiamo in bicicletta, ma loro sono la bicicletta.
Diciamo subito che a noi le ossa del bacino non sono ancora diventate a forma di sella e quindi dopo mezz'ora vediamo le stelle e cominciamo a dimenarci come anguille per alleviare il dolorante fuoco alle chiappe; diciamo anche che anche con il vento a favore qualunque babanetto di 2 anni o bacucco 90enne ci supera anche in salita senza il minimo sforzo; facciamo finta di non vedere tutti quelli che mentre pedalano scrivono sms, configurano l'I-pod, telefonano, fumano, accudiscono i 3 bambini che portano con sè (sic), scrivono sull'agenda, leggono, mentre noi se ci distraiamo anche solo un secondo finiamo nel canale accanto e rischiamo anche la multa (chi cade nel canale con la bici viene multato, dove vivevo prima penso che uno farebbe finta di annegare); evitiamo di dire che ai semafori loro partono agevolmente da fermi saltando sui pedali in modo assolutamente fluido mentre noi, anche con la rincorsa, riusciamo quasi sempre a scontrarci tra di noi o, nella migliore delle ipotesi, a fare diventare rosso il semaforo che ancora non abbiamo atraversato la strada. Facciamo finta di non notare i bambini di 7 anni che dietro alla bici hanno il carretto che trasporta il fratellino, mentre noi anche solo con uno zainetto di 2 kili sbandiamo e ondeggiamo manco fossimo ubriachi persi.
Però un giorno abbiamo avuto una rivelazione che forse potrebbe salvarci dal pubblico ludibrio e darci un minimo di rispettabilità.
La nostra speranza, cari amici, è la BICI ELETTRICA. Ahahaha!!!!!
E' assolutamente identica alle altre, solo che ha una mano magica e invisbile che ti spinge da dietro, un po' come quando il nonno ai giardinetti ci spingeva sull'altalena, e ti fa filare come il vento senza alcuna indecisione!!!
Il bello è che da fuori non si vede nulla perchè comunque bisogna pedalare in ogni caso e quindi, se non altro, potremo fingere di essere olandesi. Basta solo mascherare in qualche modo l'enorme batteria che potrebbe inquivocabilmente tradirci rivelando l'aiutino...
Insomma come al solito finisce all'italiana: non siamo capaci, ma con qualche piccolo trucchetto ce la facciamo anche noi!!!

venerdì 27 luglio 2007

Ferie

Cari tutti noi si parte per l'Olanda!
Arrivederci ad agosto, stateci bene.

mercoledì 25 luglio 2007

Ricettari matrilineari


Sia le mie nonne che mia mamma hanno sempre avuto come unico riferimento in cucina il mitico ricettario intitolato "Il talismano della felicità". Che roba! Un librone enorme, scritto dalla celeberrima Ada Boni nel 1915, aggiornato diverse volte, vero punto di partenza per tutti i cuochi alle prime armi visto che riporta nel minimo dettaglio la descrizione di tutte le tecniche base per preparare qualunque cosa, dalle salse alle confetture, passando naturalmente per carne, pesce, verdure e dolci.
Il giorno del mio 18° compleanno mia mamma mi ha comprato la mia copia, dicendo che ormai ero grande e potevo iniziare ad usarlo. E così, oltre ai gioielli di famiglia, alle lenzuola di lino ricamate a mano da nonna ecco un altro oggetto che si tramanda in famiglia per via matrilineare...
Per me il Talismano è una fonte ineasuribile di saggezza culinaria, tuttavia è interessante notare come sia cambiato il modo di cucinare, dal 1915 ad oggi.
Ad esempio, il numero dei commensali: tutte le ricette del Talismano sono per 6 persone, quelle dei piatti speciali addirittura per 12! Le riviste di cucina moderne, invece, riportano ricette per 2- 4 persone, a volte per 6 ma si tratta perlopiù di eccezioni.
E poi gli ingredienti: avete mai sentito parlare del cremor di tartaro? Se non sapete cos'è vi arrangiate perchè, come ho constatato di persona, neppure il dizionario vi rivelerà il segreto (è il lievito ;)).
Ma soprattutto mi impressiona la quantità di olio, burro, fritti, strutto e uova che usano nelle ricette, una cosa impressionante! E' evidente che l'idea della "dieta" non li ha mai neanche sfiorati, ma neppure quello di vapore, leggerezza, conteggio delle calorie, grassi in eccesso, colesterolo e cellulite!
Io non so, leggo queste ricette per 12 persone, contenenti cotica di maiale, pancetta, 6 uova e due etti di burro, mi sento male alla sola idea e allora comincio a cercare di sfrondare, sfoltire, smussare gli ingredienti sostituendo il latte intero con quello scremato, la panna vera con quella di soya, la pancetta col prosciutto crudo ma non funziona, alla fine esce fuori sempre una vera schifezza, decisamente light, ma totalmente incolore, inodore e insapore.
E poi mi fanno morire le ricette della pasta fresca che iniziano sempre con: prendete 12 uova e un chilo di farina e stendete la pasta per i ravioli... ma come stendete la pasta per i ravioli!!! Ma te lo sai a che ora mi sono alzata stamattina? Alle 6 e mezza! E ho fatto un'ora di macchina prima di arrivare in ufficio, ci sono stata 8 ore e poi un'altra ora di macchina e la spesa e di corsa in cucina, ci manca solo che mi metta a stendere la pasta!
Vabbè, a parte questi anacronismi per me resta sempre e comunque un gran libro di ricette, provare per credere!

giovedì 19 luglio 2007

Conto alla rovescia

Jeeg ed io non facciamo vacanze, ormai è palese, andiamo in pellegrinaggio.
Per "pellegrinaggio" intendo la stessa identica vacanza, anno dopo anno, nello stesso posto dell'anno precedente solo un po' più in là.
E' bello, a me piace.
Nei nostri pellegrinaggi alterniamo Corsica e Olanda, due posti che solo in apparenza sembrano opposti, in realtà hanno un sacco di cose in comuni.
Fra 1 settimana è il turno (il 7° per me, il 3° per Jeeg) dell'Olanda.
Tanti mi chiedono il perchè dell'Olanda, il commento più frequente è non so, non mi convince, è un posto così piatto. E' vero, confermo, l'Olanda è inevitabilmente piatta, tuttavia è talmente carina che è un piacere tornarci ogni anno.
In Olanda vive l'amica Atena, un'amica preziosa e carissima, con marito Flemma. In effetti è merito suo se ho cominciato a peregrinare laggiù ed è sempre merito suo se scopro continue meraviglie su questo Paese.
Di seguito, come nei temi delle elementari, elencherò una serie di cose che mi piacciono tantissimo dell'Olanda e degli Olandesi e già vi preannuncio che una volta partita cercherò di ammorbarvi ad ogni costo con ripetuti post sulla vacanza (lettore avvisato, mezzo salvato).
  1. L'Olanda mi piace perchè è verde. Ma non un po' verde, verdina, marroncina-verdolina, no no è verde smeraldo, tutta verde come se ci passassero sopra con l'evidenziatore tutti i giorni. E questo verde mi rilassa, mi riappacifica con tutti gli altri colori, come se aggiungendo un po' di verde al grigio-città , al marrone-smog, al nero-ardesia che frequento di solito si inettasse un po' di vita a questa città polverosa;
  2. In Olanda ci sono le pecore. Lo so, anche in Sardegna ci sono le pecore, ma quelle olandesi sono pecore cicce, morbide, avvolte in nuvole di lana, con boccoli di pelo e un perenne stelo d'erba in bocca. Stanno lì, nel sempreverde prato, immobili come monaci zen, bucoliche, apatiche, sornione. Io le amo, davvero, sarò un po' feticista, ma le amo proprio, penso che si potrebbe fare la pecoro-terapia: quando uno si sente triste può passare 10 minuti abbracciata al vello di una pecora ciccia, secondo me si riprenderebbe subito;
  3. in Olanda non mangiano, sbocconcellano. Mi spiego: loro non hanno un piatto, che so un primo, un secondo, ma hanno tanti piattini, un di questo, un po' di quello, due carotine, un po' di pasta, due cucchiai di zuppa, mezzo broccolo, una costinetta, un fettolino di torta. E poi tutti questi tipi di pane, biscottini, crackerini. E i formaggi che spuntano ovunque, è un eterno aperitivo. Mi piace perchè secondo me si mangia il triplo con la coscienza pulita di chi, in fondo, ha mangiato solo un panetto con un'ombra di Cheddar.
  4. in Olanda vanno in bici come nessun altro al mondo. Ho visto donne portare fino a 3 bambini, la spesa e la borsa, mentre guidavano con una mano e parlavano al cellulare con l'altra; ho visto ragazze truccarsi in bici e bambini di 2 anni sfrecciare al seguito dei fratelli 15 enni; ho visto vecchi di 90 anni che con un sorriso da dentiera ci superavano in salita facendo ciao ciao con la manina e gruppi di adolescenti con minigonna e tacchi a spillo (naturalmente almeno in 2 per bici) che pedalavano come se fossero in tuta. Infine, voglio imparare la tecnica di sorpasso che si fa così: bisogna arrivare a meno di 10 centimetri dalla bici davanti nel modo più silenzioso possibile e poi, prima di sorpassare, attaccarsi al camapanello e sbraitare ad alta voce: l'effetto infarto è assicurato!
  5. l'Olanda mi piace per le nuvole. Ne hanno tante, tantissime, di tutte le forme, di tutti i colori, ma soprattutto le loro nuvole sono veloci, fulminee, spazzano il cielo a velocità supersonica, appaiono, scompaiono, piovono un po' e poi vanno. Non è come qua, che se è nuvolo lo è per delle ore. Il tempo, lassù cambia ogni 6- 7 minuti ed è per questo che bisogna sempre uscire con un capiente zainetto dove si sono messi, nell'ordine: l'ombrello e il k-way (per la pioggia primaverile), la giaccavento, una sciarpa e i guanti (per un ripensamento dell'inverno), il costume e un paio di infradito (a volte si schianta di caldo) e un maglione in più.
Questo è. E non ho ancora parlato delle finestre che danno sulla strada, dei fiori, dei canali, dei treni, dei campeggi....
Ma questo, velata minaccia, sarà argomento dei prossimi post.

martedì 17 luglio 2007

I Grandi PERCHE'

Vorrei che qualcuno mi spiegasse perchè chi possiede un numero di cellulare Vodafone ha amici e parenti con Tim e chi, viceversa, ha un numero Tim ha solo amici e parenti con Vodafone;
e perchè chi ha Wind, nella maggior parte dei casi, ha tenuto il suo numero vecchio perciò quando pensi di stare chiamando un Vodafone in realtà chiami un Tim e viceversa?

Matsuri


Sudato fino al 15 luglio, sudatissimo (letteralmente) fino alle 5 di sera, il Matsuri è andato.
E' solo il mio terzo Matsuri ma in assoluto il più bello che abbia visto fino ad ora.
La preparazione per questo anno è iniziata a novembre scorso ed è stata una vera avventura! Credevo che inziando così tanto tempo prima non ci sarebbero stati problemi sul risultato, ero certa che a luglio saremmo state pronte. Come mi sbagliavo...
Il lavoro che abbiamo fatto, l'esecuzione di un kata a squadre, è stata davvero istruttiva. Al di là del lavoro fisico (imparare il kata, allenarsi a riprodurlo con la forma, il ritmo e l'intensità corrette) gli ostacoli maggiori si sono presentati con l'allineamento tra di noi. Eravamo in 4 e l'intralcio principale è stato fare tutte e 4 lo stesso kata, nello stesso modo, alla stessa velocità e con la stessa energia.
Una faticaccia.
Perchè in fondo in fondo, ma forse neanche tanto in fondo, ognuna di noi era convinta di farlo lei nel modo giusto. Io bene, tu male; io bene, tu lenta; io bene, tu alzi troppo il braccio, giri troppo veloce la testa, sei troppo alta, hai i piedi troppo lunghi, sei in ritardo; io bene e se non fosse per te altro che bene, farei benissimo!
Io, io, io, sempre io.
Ma è arrivato un momento, dopo qualche mese, in cui finalmente cominci a capire che non importa se TU lo fai giusto e l'altra, a tuo parere, magari no. Arriva un momento in cui capisci che il kata a squadre è il kata di una persona sola; non importa se si è in 4, il kata è uno e noi dobbiamo essere uno.
Uno a respirare, uno a muoversi, uno solo a fare il kata.
E alla fine, anzichè continuare ognuna per la sua strada, infischiandosene delle compagne, si comincia a cercare di adeguarsi al movimento, alla velocità e al respiro altrui.
Ed è qui la vera sorpresa: la sensazione di stare facendo una cosa bella inizia a manifestarsi, ci si sente meglio (non so come spiegarlo) a fare INSIEME ad un altro, uguale a lui, CON lui, che non da soli.
E' proprio diverso, è come se fosse più naturale, più "giusto".
Chi l'avrebbe detto mai detto che lasciando perdere IO in favore di NOI avremmo conquistato un pezzettino di gioia?

mercoledì 11 luglio 2007

Karma e dintorni


Già uno si deve guardare dal Karma, quello grande, quello importante, il karmone diciamo, quello per cui non riesci a costruirti una casa in campagna, o a fare figli, o ti fa avere incidenti, o ti lascia a a marcire nello stesso ufficio per anni, ci manca solo che ci si debba anche guardare dal Karmetto.
Il karmetto, mia definizione, è un karma fastidioso, piccolo ma noioso, non così importante come l'altro ma comunque molesto.
Il karmetto è quello che ti fa prendere le multe, che appena superi di 2 km il limite di velocità fa apparire magicamente la volante dei carabinieri, quello che ti fa perdere l'autobus, o scontrare la medusa nell'acqua... Diciamo che 10 karmetti fanno un karma.
Io non so, si cerca di fare il possibile, di "bruciare" il karma, di purificarlo, di estinguere tutte la cause di sofferenza e infelicità ma la cosa sembra non avere fine, a volte mi sento come se stessi rastrellando il mare.
Mi piacerebbe che il karma fosse lavabile, pensa che bello se esistesse un bel detersivo pulisci-karma, per lavarlo e purificarlo a modino.
Metti il karma in lavatrice, aggiungi il detersivo e anche l'ammorbidente (non vorrei ritrovarmi col karma pulito ma secco e cartonato), imposti il programmino a freddo (idem come sopra, non vorrei che l'acqua calda me lo restringesse) e voilà! Un bel karma pulito, splendente, morbido e profumato, con buona pace di tutte le leggi dell'universo.

giovedì 5 luglio 2007

I have a dream


Secondo me, quelli che non lavorano in un ufficio non si rendono conto di cosa significhi stare 9 ore seduti nello stesso posto, sempre lo stesso, fissando uno schermo luminoso, con accanto la collega, sempre la stessa, anno dopo anno.
Vedo più i colleghi della mia famiglia, passo più tempo con loro che con chiunque altro, trascorro più ore alla scrivania che a casa o con mio marito.
Viste le premesse, credo sarebbe necessario attrezzare questo posto per accogliere le nostre vite al meglio.
Certo, mi rendo conto che siamo in Italia, in un ufficio pubblico e che i soldi sono un po' quello che sono, per questo non mi aspetto nè una mensa con chef francese, nè la palestra per il fitness nè server nuovi di pacca o cose simili. Sto chiedendo solo una macchinetta.
Una bella macchinetta del caffè nuova che fornisca generi di conforto e di prima sopravvivenza utili per l'ufficio.
La mia macchinetta ideale oltre al caffè e alle bevande al gusto di... fornirebbe anche:
- kit per unghie e manicure (si sa, i pomeriggi invernali sono particolarmente lunghi);
- tinta per capelli (per un'occasione speciale);
- collant assortiti (ne smaglio tipo un paio a settimana);
- superalcolici e cocktail di vario genere (per dimenticare buchi in bilancio e simili);
- manganelli e mazze ferrate (per il collega che, birichino, te la fa ancora una volta);
- mutande di ferro anti-padùlo;
- scaldasonno (da mettere sotto la scrivania d'inverno);
- poster di Brad Pitt per quando, in quei giorni, manco l'arcangelo Gabriele riuscirebbe a darti una buona notizia;
- tisane e infusi millegusti;
- e, dulcis in fundo, l'articolo più richiesto: un video di George Clooney che, con voce suadente e persuasiva ti ripete che non importa, che va tutto bene, che anche se sei ancora qui ce la puoi fare lo stesso, su su, coraggio, che fra poco vai a casa e passa tutto.

Ai confini della Realtà

Oggi, incredibile a dirsi, ho visto un'Audi.
Ma non un'Audi normale, no no, un'Audi diversa, strana. Essa era, mi vengono i brividi al solo pensiero, nella corsia lenta.
Pazzesco.
Stava lì, a 90 all'ora, sudo ancora al ricordo, senza sfanalare, strombazzare, mordere la targa a nessuno, tranquilla.
Impossibile, mi ripetevo, impossibile, mai visto nulla di simile.
Poi ho guardato la targa: era un tedesco.

mercoledì 4 luglio 2007

Senza Parole


Eccomi di nuovo, è difficile scrivere i post dopo un week end come quello appena trascorso.
Non è successo nulla di brutto, non allarmatevi, anzi è stato un week end di una tale intensità e di una tale gioia che sono rimasta senza parole!
Come forse qualcuno di voi sa, Jeeg ed io, assieme al nostro meraviglioso gruppo di colleghi suonatori, abbiamo partecipato ad un seminario di Taiko, con un Sensei giapponese.
Non è stato un seminario di nozioni, di tecniche o canzoni nuove, sono stati invece due giorni in cui abbiamo ricevuto istruzioni su come usare il nostro cuore.
Ora, io a questo non avevo mai pensato; cioè, il cuore io l'ho sempre associato ai sentimenti, alla famiglia, a Jeeg, agli amici, ma mai ad un tamburo.
Invece, tutto il seminario è stato sul kokoro (=cuore, in giapponese) che va messo nel tamburo, nella musica che si suona, nell'intenzione che si ha quando ci si accinge a suonare, nella relazione con il gruppo, nei confronti del Sensei e di chi insegna.
Un cuore puro come chiave di apertura e cambiamento, la purezza dell'intenzione come strumento per percorrere la Via, l'unione di cuore e intenzione per raggiungere la Perfezione.
E come si fa dopo due giorni così a tornare alla vita ordinaria? Ogni volta, dopo queste puntatine in Paradiso il rientro a casa è veramente faticoso.

venerdì 29 giugno 2007

Sogno o son desto?

Scena: il regionale cittadino del mattino presto;
due signore accanto a me, una palesemente abbioccata.
Dopo 5 minuti dalla partenza ha inizio il seguente dialogo:

- (tira un calcetto all'amica addormentata) Ou, ma te la senti radio Maria?
- Eh? Chi? Che c'è?
- Dicevo, la senti Radio Maria?
- non sento la radio (fa per riaddormentarsi)
- Ou, ma te lo dai un contributo a Radio Maria?
- No, non sento la radio. Che contributo?
- No, perchè Radio Maria è utile anche agli ammalati, a chi è in ospedale e non può andare a messa, ai poveri..Dovresti sentirla anche tu, Radio Maria e mandare un contributo. Perchè bisogna aiutare Radio Maria.
- Ma se non ho la radio e non sento Radio Maria perchè devo mandare un contributo?
- Perchè loro non hanno pubblicità e se non gli mandi i soldi come campano? Dovresti proprio mandarglieli i soldi, fanno anche i rosari.
- Sì, ma se non sento la radio, anzi non ce l'ho neanche, non glieli mando i soldi.
- Sì, ma radio Maria fa tante cose utili, ad esempio recita la messa e se non ci puoi andare la senti da casa. E mandaglieli un po' di soldi!
- NON HO LA RADIO e non mando i soldi a nessuno, hai capito?
- Babbè, ma anche pochi euri aiutano, comunque secondo me glieli devi mandare...

La signora accanto a me si riaddormenta.
Fine delle trasmissioni.

Secondo voi (come nel romanzo I Fiori Blu, di Raymond Queneau) ero io che sognavo loro o loro che sognavano me?

giovedì 28 giugno 2007

Like a Jellyfish


Spiaggiata in ufficio come una medusa sulla battigia cerco strategie di sopravvivenza fino al 27 luglio, giorno di partenza per l'Olanda.
I sintomi di sfinimento sono numerosi:
- i minuti tra il suono della sveglia e l'effettiva discesa dal letto aumentano in maniera esponenziale;
- faccio colazione in piedi per non abbioccarmi al tavolo (sic);
- il sole in autostrada mi fa malissimo agli occhi, manco fossi Dracula fuori dalla tomba dopo 1000 anni;
- le mie cellule passano da uno stato di pre-morte ad uno di isteria collettiva dopo il 2° caffè;
- il dopo pranzo si trasforma in un'agonia: cerco di mantenermi sveglia passeggiando per i corridoi dell'ufficio;
- il pomeriggio è una lunga clessidra fino all'ora di dormire, con i minuti-granelli di sabbia che scivolano lenti uno alla volta.

Per favore, se avete strategie collaudate per tirare a campare scrivetemi.

martedì 26 giugno 2007

Con la vita di campagna, la salute ci guadagna


Due sono le domande che tutti vi farebbero se voi, abitanti da lunga data di un posto di mare, decideste di trasferirvi in campagna.
La prima, abbastanza curiosa, è se trasferendovi deciderete di prendere un cane.
Il che mi fa sorridere: immagino tutte le volte l'agente immobiliare che consegnandoci le chiavi della cascina ci mette in braccio un bel cucciolone, gentile omaggio della comunità campagnola.
L'altra domanda, tipicamente rivolta con tono ansioso, è se non ci mancherà il mare.
Ora, io vorrei sapere che cosa, in particolare, dovrebbe mancarmi del mare.
Vi svelerò un segreto: andare al mare, partendo dalla città, (soprattutto d'estate) si rivela impresa alquanto ardua e se non si dispone di una strategia precisa e collaudata si rischia una sequela tale di disavventure da scoraggiare i più tenaci.
Quando, ancora giovane, avevo il fisico per queste cose ero arrivata al punto di partire la domenica mattina alle 7.00 (sic), arrivare in località marina alle 8.30 (dopo un'oretta di coda), cercare parcheggio come una forsennata per poi trovare, per soli 15 euro un bel piazzale al sole; dopodichè si marciava per una mezz'ora sotto il sole d'agosto, si trovava un risicato 1/2 metro di spiaggia per soli 8 euro (niente ombrellone, nè lettino), si litigava ferocemente con i vicini per tutto il giorno e si marciva per ore in coda alla sera, talvolta anche di notte, per rientrare a casa, sfatti come pigne.
Tuttavia, prima dello scorso week end ancora temevo una sorta di "nostalgia canaglia" che mi avrebbe preso a tradimento e mi avrebbe convinto ancora una volta ad andare verso le spiaggie durante il week end, naturalmente con gravissime conseguenze.
Poi siamo andati alla mitica piscina di Bisabbia.
Ragazzi, che pacchia!!!
A soli 5 minuti dal paesino, 4 piscine bellissime immerse nel verde di alberi meravigliosi, su un prato da sogno. Interi metri di prato all'ombra tutti per noi, silenzio, pace, ombra, sole, niente coda per arrivare e parcheggione ombreggiato gratuito: una favola.
Mi sembra già di sentire i tifosi del mare: però non è la stessa cosa.
Infatti, non è la stessa cosa: è decisamente meglio.

lunedì 25 giugno 2007

Incontro con Kurumaya Masaaki Sensei

Venerdì al CELSO (Centro Studi Orientali) di Genova c'è stato un incontro con Kurumaya Masaaki, Maestro di Taiko Do.
Qui di seguito un breve sunto delle sue parole, tradotte dal giapponese da Chiara:

D: Lei è uno dei più rinomati suonatori di Taiko non solo del Giappone, ma di tutto il mondo. Ci può raccontare cosa significa?
R: Non mi considero un "suonatore", piuttosto un interprete di Taiko. Io non suono, interpreto, ci metto il colore. Il Taiko, a differenza del pianoforte che ha tante note, ne ha una sola. Quell'unica nota può essere suonata in molti modi diversi. La differenza è data dal colore che ognuno ci mette e il colore è dato dal cuore. Quando suono il Taiko ci metto cuore e anima. E' il cuore che dà il colore a quello che suoniamo e, in generale, a tutto quello che facciamo.

D: Sta dicendo che il suono, oltre che ad essere connotato da note, tempo e ritmo è derivato anche da altre componenti?
R: In giapponese la pelle del tamburo è chiamata anche "specchio", perchè quello che si mette nel tamburo quando si suona esce riprodotto in modo uguale. Se ad esempio suono con rabbia, uscirà rabbia. Se metto gioia, uscirà gioia. Per questo è importante suonare con il cuore.

D: Sappiamo che lei, prima di ogni lezione, fa praticare Zazen ai suoi allievi: ci può spiegare perchè?
R: Quando si suona, ma non solo, l'intenzione è la cosa più importante. E' per questo che prima dell'allenamento è importante praticare un po' di zazen. L'allievo che viene in Dojo, dopo una giornata di lavoro, è pieno di pensieri. Zazen aiuta a pulire la mente, a eliminare i pensieri. Anche la respirazione è importante. La respirazione cambia il modo di usare il cervello e, di conseguenza, cambia il modo di suonare.

D: Cosa significa Taiko? (non sono certa della traduzione, mi scuso)
R: Taiko è composto dalle parole Collo e Cuore. Il collo è il collegamento con la testa, con il cervello. Koshi è il ventre, è la parte che ci fa essere pratici, che ci fa agire. Il collo unisce Koshi è il cervello. Nel mezzo c'è il cuore.

D: Lei insegna in un Dojo, non in una scuola. Ci può spiegare la differenza?
R: Una volta insegnavo Taiko, non ancora Taiko Do, e gli allievi frequentavano i miei corsi. Poi mi sono reso conto che le cose più importanti del mio insegnamento erano invisibili, quello che insegnavo non era semplicemente musica, era una via. Allora ho creato il Taiko Do, e ho cambiato la scuola in un Dojo. Il Dojo non è una classe, non è un corso, è il luogo dove si pratica la Via dell'uomo.
Le cose essenziali, che insegno, sono invisibili agli occhi. Ad esempio noi di un fiore vediamo i petali, lo stelo. Ma non vediamo le radici, che sono importanti. Nel Taiko il Ki e il cuore sono le cose importanti.

D: Lei usa spesso la parola Ki, ci può illustrare il suo significato?
R: La traduzione occidentale per Ki è solitamente energia. In giapponese ci sono più ideogrammi per descriverlo, io uso quello con il riso, ad indicare l'energia.
Il ki è molto importante in tutto quello che facciamo, non solo quando suoniamo. Bisogna usare il Ki per suonare e questo si fa mettendosi davanti al tamburo, prendendo un respiro e inziando a suonare. Per suonare bisogna entrare dentro al tamburo.
Il ki è importante anche nella relazione con l'altro. Se sono triste l'altro lo sente, se sono arrabbiato l'altro lo sente. Bisogna stare attenti all'energia, è necessario essere consapevoli di ciò che si mette in circolo.
Il ki è importantissimo, anche per la realizzazione dei sogni. Un modo per realizzare il proprio sogno è quello di fare uscire il Ki. Quando si ha un sogno, non bisogna mai smettere di pensarci. Bisogna pensarci sempre, anche di notte, anche durante il sonno.
Una volta ho lavorato con un gruppo di disabili Inglesi, che sono venuti in Giappone, con i loro accompagnatori, per provare a suonare il Taiko. Come sapete, non parlo una parola d'inglese e ho cumincato con loro solo usando gli occhi, ho usato solo il Ki che usciva dagli icchi. I risultati sono stati sorprendenti, i ragazzi sono riusciti a fare cose e movimenti che in tanti anni non erano mai riusciti a fare. Bisogna "attaccare" l'altro con il Ki. La volontà esprime il Ki.
Nel seguire una Via è importante riuscire ad aprirsi e comunicare nel modo giusto, bisogna dare per ricevere. Quello che diamo, il modo in cui lo diamo sono le cose più importanti.

Segue breve esibizione di Taiko (naturalmente strabiliante) di Sensei con due giovani musicisti: ragazzi, da paura!!! La cosa che più colpisce è la gioia che riescono a trasmettere, la festosità, l'entusiasmo, davvero bello.
Grazie.



venerdì 22 giugno 2007

I sogni son desideri

Cos'è che fa di un sogno un buon sogno?
Cos'è che ti fa dire, dopo qualche anno, che ciò che avevi tanto desiderato non ha più importanza o, al contrario, resiste negli anni e ti nutre ancora di gioia?
Si può imparare a sognare?
Questi e altri pensieri mi passavano oggi per la mente...
Mi rendo sempre più conto che ciò che da bambina e ragazzina identificavo come "sogno" non lo era, in realtà, neanche lontanamente.
La caratteristica principale di un sogno è, a mio parere, il Tempo, che ti dirà se hai avuto ragione o meno a desiderare quel dato evento e ti darà la misura della qualità del tuo desiderio.
Ci sono eventi/ persone/situazioni che si desiderano con tutto il nostro essere e che non appena si avverano rivelano un insipido sapore di noia e inganno.
Bisogna allenarsi a sognare per non perdersi in illusioni e, soprattutto, per resistere, resistere non solo alle difficoltà e alla fatica, ma anche alla felicità stessa che la realizzazione di un sogno può portare con sè.
Mi piacerebbe anche capire se un sogno è davvero personale, tutto nostro, o proviene da qualche parte estranea a noi, come se in quel momento, nell'universo ci fosse proprio bisogno che qualcuno, da qualche parte, realizzasse proprio quella cosa lì e tu fossi scelto come strumento per la manifestazione del sogno. Una specie di "sogno collettivo" di Junghiana memoria.
Concludo con una canzoncina per bambini che, tutto sommato, forse ha da dirci ancora qualcosa:

"I sogni son desideri
di felicità.
Nel sonno non hai pensieri
Ti esprimi con sincerità.
Se hai fede chissà che un giorno
La sorte non ti arriderà.
Tu sogna e spera fermamente
Dimentica il presente
E il sogno realtà diverrà"
(dal film "Cenerentola", di Walt Disney)


giovedì 21 giugno 2007

La metamorfosi

"Un mattino, al risveglio da sogni inquieti,Gregor Samsa si trovò trasformato in un... hobbit!" (Kafka, "La Metamorfosi")

Avete presente gli hobbit, no? Non tanto alti, amici di Nani e Elfii,
pazzi per gli anelli e l' erba-pipa, piedi enormi e pelosi...
Ecco, ieri ho capito che solo a loro potrebbero stare bene le Crocs!
Perciò, cari amici, se un bel giorno vi svegliate e guardandovi allo specchio scoprite di assomigliare a Frodo Baggins non perdetevi d'animo: uscite di corsa e compratevi un bel paio di queste zatterone colorate!!!
Nessuno farà caso ai vostri piedoni villosi e sarete anche à la page.




Credits: ringrazio Agnese per la realizzazione tecnica delle immagini!

mercoledì 20 giugno 2007

Concerti di TAIKO


Domani sera atterra a Genova un nutrito gruppo di musicisti giapponesi, di fama internazionale, che terrà una serie di concerti di Taiko in Italia.
Il principale esponente del gruppo, Kurumaya Masaaki Sensei, è un vero Maestro, come pochi ne sono rimasti. Ho avuto il piacere di ascoltarlo in Giappone e, ahimè, non trovo parole per descrivere la forza e l'armonia che riesce a trasmettere quando suona, la sua gioia e la perfezione dei suoni che emanano dal tamburo.
Il primo concerto inaugurerà il Festival del Mediterraneo di Genova, lunedì 25 giugno alle 21, all'EXPO. Le altre date, a Finale Ligure e Fiesole sono qui.
Del Taiko ho già scritto, è un'esperienza speciale sia per chi ascolta che per chi si cimenta con il tamburo; per me è vita e coraggio, è forza, ordine, equilibrio, il taiko è essenzialmente Gioia pura.
Se avete tempo e siete in zona, vale veramente la pena.

martedì 19 giugno 2007

Test di INTOLLERANZA



Comincio a pensare che sia troppo tempo che lavoro per un help desk TELEFONICO per problemi INFORMATICI, noto in me segnali preoccupanti.

Pubblico, per il bene comune, un breve test che potete utilizzare per scoprire in voi tracce di intolleranza alle telefonate dell'utenza:

1) Siete a casa, squilla il telefono:
a. Rispondete a vostra madre con un disinvolto "Sono Maddalena, in che cosa posso esserle utile?";
b. maledicete mentalmente il telefono, la suoneria e, già che ci siete, anche Guglielmo Marconi;
c. vi mettete a piangere;

2) Il nuovo virus che ha disintegrato i PC dell'FBI sta per arrivare in Italia:
a. vi fa un baffo, i vostri utenti sono troppo intelligenti (dite la verità, NON lavorate ad un help desk informatico);
b. vi arruolate nella legione straniera;
c. vi mettete a piangere;

3) Sta per uscire la nuova versione di Windows:
a. fate un party per festeggiare (ripeto, secondo me NON lavorate ad un help desk informatico);
b. fate richiesta di ammissione ad un monastero tibetano;
c. vi mettete a piangere;

4) Vi chiamano al telefono per segnalare un problema con TLOK:
a. non sapete di cosa stiano parlando, spiacente, riattaccate (confessate, dove lavorate in realtà???)
b. capite immediatamente che si tratta di OUTLOOK;
c. vi mettete a piangere;

5) Siete in vacanza in Giappone e il PC dell'internet point è fuori dalla rete (sic):
a. pazienza, non era urgente (non avete mai messo piede ad un help desk, eh?)
b. nonostante gli ideogrammi riuscite a smanettare fino a che internet riparte (sic)
c. vi mettete a piangere;

6) Un utente particolarmente tanardo non capisce il semplice comando CTRL+ALT+CANC:
a. Non tutti hanno competenze informatiche (perchè mai fingere di lavorare ad un help desk?)
b. assoldate un cecchino serbo per farlo fuori;
c. vi mettete a piangere;

Ecco, sono poche, semplici domande ma abbastanza indicative.
Maggioranza di risposte A: vi abbiamo smascherato subito, siete dei bugioni che non hanno mai messo piede in un help desk.
Maggioranza di risposte B: state attenti, l'infartone è alle porte.
Maggioranza di risposte C: coraggio.

giovedì 14 giugno 2007

Torta di riso... FINITA!!!

Su un tramonto spazzato dal vento ieri sera si è svolta, come di consueto in questa stagione, la leggendaria cena a casa dei genitori di Chiara. Negli anni il numero di partecipanti si è progressivamente ridotto, fino a raggiungere il minimo storico di 4 coppie, per un totale di 8 adulti (bambini a nanna con baby sitter).
Chiara vive in Olanda ormai da anni mentre noi tutte, Fabrizia - Raffaella- io, siamo rimaste più o meno in zona; e ogni volta che Chiara viene qui ci interfacciamo con Jeroen, olandesissimo di nascita.
Ora, di cosa si parla con un olandese?
Ieri sera, con notevole coraggio, ci siamo lanciati su un discorso alquanto complesso: abbiamo cercato di spiegare, ad un sempre più costernato Jeroen, il significato degli sketch di una nota trasmissione televisiva, intitolati "Con quella faccia un po' così" che riportano le sventurate vicende di uno sprovveduto turista tedesco in vacanza in Liguria.
Orbene, come si spiega ad un olandese che i Liguri hanno un caratteraccio chiuso e taciturno? Come gli si presenta la differenza tra noi e, tanto per dirne una, i romagnoli? Perchè dovrebbe godere del fatto che i turisti che osano venire qui sono dileggiati, insultati o, se sono fortunati, ignorati con freddezza? Come rendere il rancore millenario di una regione strozzata fra mari e monti che non ha mai avuto niente per caso e si è sempre dovuta fare un mazzo così per tirare fuori qualcosa dalle sue terre e dal suo mare? E' chiaro che la gente di un posto così, invasa a turno nei millenni da chiunque vagasse per il Mediterraneo, abbia sviluppato una qual certa diffidenza per i "foresti" (una volta barbari invasori, oggi turisti) ma come si giustifica tutto ciò in un mondo globalizzato dove il cliente, sovrano, ha sempre ragione?
Magari la prossima volta cercheremo di giustificare la presenza del Gabibbo, chissà.

mercoledì 13 giugno 2007

Giugno mugugno

A me una volta giugno piaceva tanto, davvero.
Cominciava a fare caldo, le giornate si allungavano, spuntavano le braccia dalle magliette, si poteva uscire senza calze e canottiera. Finiva la scuola e mi pregustavo le lunghe vacanze estive, i bagni al mare, le settimane con i nonni in montagna; gli ultimi giorni in città non mi pesavano neanche, erano il preludio all'estate, l'inizio di un gran divertimento.
Poi sono diventata grande.
Adesso giugno è un mese qualunque, solo fastidiosamente più caldo e con le giornate che si trascinano fino alla fine, lunghe, con una luce truffaldina che permette di prendersi ancora un altro impegno e di tirare avanti ancora un po'.
Il mio obiettivo principale in queste giorni è trovare un posto idoneo e alcuni minuti per dormire, abbioccarmi, schiacciare pisolini, anche solo chiudere gli occhi e azzardare una fase rem qualsiasi.
Ultimamente ho scoperto che se mi sdraio sui sedili posteriori della macchina e ripiego le gambe posso dormire comodamente, naturalmente dopo avere impostato la sveglia sul cellulare.
Un po' barbona, ma pazienza.
Dormicchio anche in autobus, ma devo trovare posto a sedere lato finestrino per appoggiare la testa che comunque mi sbatacchia sul vetro e mi procura inopportuni bernoccoli.
Ho provato a sonnecchiare alla scrivania, ma i colleghi fanno commenti spiritosi ad alta voce che non mi consentono di prendere sonno. Il treno, invece, è perfetto perchè sui regionali fa un caldo tale che si entra in uno stato di pre-coma molto simile al sonno profondo, abbastanza ristoratore.
Invece ho un dubbio: secondo voi, le piazzole dell'autostrada sono sicure per abbioccarsi?
Non so, con quei camiononi parcheggiati, quegli autistoni che passeggiano tra l'erba, sempre soli, sempre incavolati... non vorrei rischiare la pelle per un pisolino che poi vi tocca chiamare i CSI per ritrovarmi o, nella peggiore delle ipotesi, i Cold Case (tocchiamo ferro, sono quelli dei casi irrisolti, vuol dire che i CSI non hanno trovato una mazza e siamo alle riserve).

martedì 12 giugno 2007

La tredicesima storia

Mi ero ripromessa di non scrivere recensioni di libri, ma questo vale veramente la pena.
Si intitola "La tredicesima storia", ed è un romanzone d'altri tempi, con atmosfere alla "Cime tempestose", personaggi carichi di pathos ( e anche un po' jella, diciamolo) e romanzati, una vera delizia.
Mi sono ritrovata a comportarmi come qualche anno fa quando, ancora single, leggevo in ogni momento della giornata: a colazione davanti al tè, a pranzo, nel pomeriggio, sull'autobus, in treno, prima di dormire, ogni momento era buono per rosicchiare ancora qualche parola, una frase, un colpo di scena.
Bello, bello, bello.

venerdì 8 giugno 2007

Un altro mondo è possibile

E' inutile, sono passati quasi 7 mesi ma ancora non mi sono abituata a vivere in un paese, i miei neuroni cittadini, schizzati e paranoici, saltano fuori da ogni parte, mettendomi in imbarazzo e facendomi fare cose assolutamente fuori luogo.
L'altra volta, ad esempio ero per la prima volta dal medico: ospedale pulitissimo, sala d'aspetto decorosa, addirittura con riviste (!!!), dottore calmo e sereno che mi ha ascoltato per un ora (ri-!!!). Mi prescrive gli esami del sangue.
Alla parola "esami del sangue" tutte le cellule del corpo si tendono con un fremito.
Un presagio di battaglia si fa strada dentro di me, scene apocalittiche mi appaiono alla memoria: sveglia all'alba, mischie per il numerino, vecchietti che colpiscono a tradimento con bastoni puntuti, infermieri ostaggio della folla inferocita, code di ore davanti alla porta un laboratorio chiuso per sciopero, urla, minacce, zuffe corpo a corpo ... cose così, insomma, le solite cose della città.
Va bene, dico con un ghigno, e gli esami del sangue siano.
L'infermiera con tono soave mi dice di presentarmi al laboratorio dell'ospedale alle 8.
Ahahaha. Ma per chi mi ha preso??? Alle 8??? Seeee, penso dentro di me, alle 8 e' TARDI, TROPPO TARDI, hanno già dato i numerini, ci sono già stati i primi feriti, orde di vecchietti hanno già occupato tutte le sedie, lo sanno tutti che bisogna arrivare all'alba.
Il D-DAY si presenta con pioggia e vento, bene, penso dentro di me, tempo giusto per un giorno di guerra. Mi presento in ospedale alle 7 e 20: è chiuso.
Ohibò.
Come chiuso?
Mi avvio sotto un diluvio dirotto a comprare il giornale. Torno alle 7.35 e trovo due vecchini che conversano amabilmente davanti allo sportello ancora serrato. Mi avvicino circospetta, pronta a colpirli in caso di reazione ma loro non si scompongono, anzi MI SORRIDONO e riprendono a chiacchierare.
Alle 7.50 si avvicina l'infermiera con la macchinetta dei numerini.
AH-AHHH. Scatto in piedi, brandendo l'ombrello e il giornale, pronta alla rissa.
Nessuno si muove. Uno dei due vecchietti, notando la mia impazienza, si avvicina con un sorriso e mi dice che se ho fretta e devo andare a lavorare posso prendere il suo posto.
A quel punto capisco.
Capisco che non c'è fretta, che non ci sarà nessuna rissa, che non dovrò litigare, discutere, azzannare nessuno. Che tutto si svolgerà in modo civile e ordinato e, nel giro di mezzora sarò al lavoro.
Cavolo, ma dove ho vissuto finora???