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giovedì 27 settembre 2007

In & Out


L'altro giorno, mentre sul treno osservavo 4 ragazzine sedute vestite in modo identico, con scarpe, jeans, mutande (si vedevano anche quelle), felpe uguali, con gli stessi zaini e pettinate, truccate, atteggiate in modo assolutamente conforme ho pensato a Jessica.
Jessica era in classe con me alle medie ed era, a soli 11 anni, quella che oggi definiremmo una "fashion designer", faceva tendenza, dettava moda, inaugurava stili e la sua parola era legge. Vestivi come diceva lei? Eri dentro. Ti vestivi in modo autonomo, secondo quello che piaceva a te? Eri fuori, emarginata, nessuno ti rivolgeva la parola, derisione e indifferenza, questo era quello che ti spettava.
Naturalmente nessuna di noi voleva essere relegata in un deserto di solitudine, perciò ci affannavamo in una corsa senza fine nella speranza di azzeccare colori, taglie, modelli e compiacere il nostro Capo, ignorando di essere come Achille e la tartaruga, non l'avremmo mai raggiunta.
Ora, ripensando a Jessica e alle sue "trovate" modaiole, mi vengono i brividi, credo di non essermi mai vestita tanto peggio come in quei 3 anni.
Nell'ordine, ricordo con orrore di avere indossato:
- una fascia in spugna con i colori dell'Italia sulla fronte e, contemporaneamente, due polsini, ovviamente in spugna, con la bandiera francese ai polsi;
- delle calze, naturalmente in spugna, bianche con dei cuoricini rosa e azzurri (Jessica avrebbe preferito gialli, ma non li ho trovati);
- degli orecchini con un grande cuore blu che erano pieni di nichel, cui sono allergica, e mi facevano venire delle orecchie enormi, gonfie di pus e doloranti;
- una fetentissima tuta da ginnastica azzurrina, con delle righine rosse, che odiavo con tutta me stessa ma che Cinzia trovava D-E-L-I-Z-I-O-S-A;
- qualcosa come 10-12 braccialettini in simil stoffa plasticosa che si compravano in merceria e che per attaccarli al polso bisognava bruciarne le estremita sul fornello, cosa che, facendo da soli, provocava piccole ma dolorose ustioni alla pelle;
- una striscia di cuoio, lunghissima, arrotolata a spirale al polso su modello di Morten Harket, cantante degli A-Ha, che bisognava farci la doccia perchè era impossibile da togliere e rimaneva umida per ore e stingeva di marrone, oltre a puzzare leggermente di muffa;
- delle strisce di pizzo bianco, Madonna docet, che usavamo al posto delle stringhe nelle fantastiche scarpe da ginnastica rosa metallizzato comprate per l’occasione;
- calze, maglioni, fermacapelli fosforescenti;
- un Woodstock giallo di stoffa applicato sul giubboto di jeans, ma a Cinzia non è piaciuto perchè secondo lei era troppo slavato e poco giallo;
E stendiamo un velo pietoso sulle pettinature e sul trucco, che a rivedere le foto di allora mi vien voglia di ritoccarle con Photoshop, sono truccata a 13 anni come Platinette nei suoi momenti migliori.
So che non serve a nulla mettere in guardia le future generazioni sul bisogno adolescenziale di conformarsi a modelli più o meno autorevoli, perciò non dirò nulla... però ragazze, fate attenzione: chiunque vi emargini solo per un paio di calzini, non è degno nemmeno di allacciarvi le scarpe.

venerdì 21 settembre 2007

Mamma piazza, 2

Una volta mia cugina mi diceva che vivere in una piccola cittadina aveva i suoi vantaggi, certo, ma anche grossi svantaggi e, secondo lei, uno di questi era il fatto che ci si conoscesse tutti e che non eri poi tanto libero di muoverti come ti pareva perchè tutti, cioè i nostri genitori, l'avrebbero saputo immediatamente.
Per me e per la mia famiglia, da sempre vissuti in grandi città, questo "conoscersi tutti" è sempre stato un'idea vaga, mitologica, come diavolo fai a conoscerti tutti quando si è in 600.000?
Ora lo so.
Da quando vivo al paesino ho già assistito a 3 battesimi, un paio di matrimoni, una comunione multipla e 3 funerali. Tutti di gente che non conoscevo assolutamente.
Funziona così: uno esce di casa e entra in piazza e dall'umore della piazza, dal silenzio oppure dalle risa, dalla gente che c'è, da come è vestita si capisce subito di cosa si tratta.
Perchè in piazza c'è la chiesa e la chiesa è il catalizzatore di tutti gli eventi, regola la vita delle persone dalla nascita fino all'ultimo respiro.
E allora un giorno esci e senti subito il silenzio, un silenzio innaturale, profondo, e mentre cammini pensi che strano questo silenzio, eppure oggi non è festa e mentre cammini, assorto, cercando di ricordarti se è qualche santo strano di cui non ti ricordi sbuchi in piazza e capisci. Capisci subito, perchè la piazza è piena, ma tutta la gente è assiepata ai bordi e il centro è vuoto, e tutti i negozianti sono fuori dai loro negozi e bisbigliano in silenzio che era così buono, ma tanto malato, eh, tutti se l'aspettavano, ma poi quando succede davvero non si è mai preparati.
Io mi fermo sempre in questi casi, a guardare i parenti, gli unici al centro della scena, compiti e seri, guardo e mi chiedo chissà chi era questa persona, cosa ha fatto, come ha visuuto e guardo gli altri intorno a me, in silenzio, partecipi del dolore e vicini anche a chi non conoscono. E penso che mi piacerebbe andarmene così, circondata non solo dai miei, dagli amici, ma anche dalle persone che ho incontrato ogni giorno, conoscenti per modo di dire, persone sconosciute, in una piazza gremita di gente che mi manda un pensiero, per l'ultima volta.

martedì 18 settembre 2007

Inglese, mon amour


L'italiano è senza dubbio una lingua molto complessa, articolata, difficile da imparare e parlare bene per noi italiani, figuriamoci per gli stranieri.
Tuttavia è lingua che bene si adattta alla poesia, alla lirica, alla fantasia. Ricordo un ragazzo norvegese, conosciuto anni fa durante una vacanza, che si rammaricava di non conoscere così a fondo la nostra lingua da poter leggere in lingua originale la "Commedia" di Dante.
Ma non sembra che la cosa ci inorgolisca granchè, visto che in ogni luogo e in ogni situazione spuntano come funghi improbabili scritte in inglese, talmente maccheroniche da risultare assolutamente esilaranti.
In tutti i bar d'Italia, ad esempio, oltre al caffè e al cappuccino servono anche il "The", famoso articolo determinato maschile, femminile, neutro e plurale. Chissà se mai qualcuno si accorgerà che si scrive Tè? O, all'inglese, Tea?
Ma questo è ancora nulla.
In città, un bar del centro si intitola "Bar Sympathy", cioè "Bar Comprensione" (nel senso di pietà), ma chi glielo dice al proprietario, che sicuramente voleva che il suo bar si chiamasse "Bar Simpatia"?
Sempre nella mia ex città, c'è il famoso concessionario "University Cars", cioè "Macchine Universitarie". Ovvio che intendevano "Università delle Macchine", nome altisonante e prestigioso, in realtà ogni volta che ci passo mi viene da entrare e chiedere se per noi che lavoriamo all'Università è previsto uno sconto.
C'è poi la rinomata "Back School", dove dovrebbero curare il mal di schiena, ignorando invece che l'hanno chiamata "Scuola Posteriore". Mah?
Last but not least, ieri sera a Jeeg hanno regalato due lattine dell'ultimo beverone energizzante, sponsorizzato con la scritta "Now Extra Potent". Ora, è vero che "potent" vuol dire potente in inglese, ma è una licenza poetica, un aggettivo talmente desueto da non essere assolutamente utilizzato.
E' come se, in italiano, avessero scritto sulla lattina "Bevi XXX, da oggi super virile!!!"

mercoledì 12 settembre 2007

pant...pant

Travolta da un insolito destino nel fognoso fiume dell'ufficio, la sottoscritta lascia i pochi averi e i molti debiti a chiunque vorrà farsene carico.
Riapparirò su queste pagine non appena l'insolito destino volgerà il suo sguardo altrove e potrò nuovamente respirare.
Adieu.

venerdì 7 settembre 2007

Dimmi che faccia hai...

Da un paio di settimane in ufficio circola un programmino per creare avatar in stile South Park: una meraviglia. Non solo colleghi e amici sanno se siamo connessi o meno, ma possono anche chiaramente vedere di che stato d'animo, umore, forma fisica, abbigliamento siamo. E questo nonostante si sia nello stesso ufficio, a pochi centimetri di distanza.
Non so cosa sia che ci spinge a comunicare così tanto di noi, come se gli altri potessero essere preoccupati dai nostri umori e dalle nostre vite come lo siamo noi stessi, chissà, fatto sta che a distanza di pochi giorni, a volte poche ore, modifichiamo il nostro avatar ad hoc e tutta la cerchia di amici e conoscenti sa esattamente cosa ci sta capitando.
Se volete un assaggio della nostra fantasia cliccate sull'immagine sotto.

martedì 4 settembre 2007

Back in the Tunnel of Pattons

Ritorno al Tunnel di Pattoni - e per chi ignorasse cos'è pregasi guardare il fantastico filmato .
Ok, ferie finite, torta di riso anche e da stamani si rientra in ufficio: solito traffico in autostrada, solita aria condizionata a stecca sul treno (e conseguente bronchite dei pendolari, forse pensano di risolvere il problema del sovraffollamento sui treni mandandoci tutti all'altro mondo, chissà), solita scrivania, solito lavoro. E stasera si rientra in palestra, olè.
L'ultima settimana di ferie è stata meravigliosa, devo dire che le vacanze in montagna hanno sempre un sapore particolare, la Val Veny poi è davvero speciale.
Un'unica segnalazione di rilievo, abbiamo scoperto che i francesi, tra i tanti difetti, hanno un grosso pregio: non raccolgono i funghi.
Epperciò, dopo una rapida scollinata nei boschi francesi (vorrete mica indicazioni più precise, eh?) siamo calati come Unni sugli sventurati funghetti, facendone incetta clamorosa, circa 4 chili a testa.
E poi le gite, i pic nic, le grigliate e le raclettate, le mucche, i ghiacciai... stiamo già pensando all'anno prossimo.
Un saluto particolare al Presidente del C.A.G. (Club Alpino Gaetano) e famiglia che ci hanno ospitato e coccolato, GRAZIE!