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lunedì 24 maggio 2010

Parole, parole, parole...

A mille parole prive di senso
E' preferibile una sensata che,
udita, conduca alla calma.
Dal Dhammapada

Vi giuro, io non faccio nulla.
Al lavoro me ne sto lì seduta, nell'atrio, con il mio PC e il telefono davanti.
A tratti vegeto, a volte apro e chiudo la posta, in certi momenti rispondo al telefono.
Può sembrare che io non faccia nulla, in effetti tecnicamente non è che agisca granchè, tuttavia il mio è un lavoro sottile, penetrante: io sono quella che ascolta i pettegolezzi e li diffonde nella ditta.
Ora, non pensate male. Io non vorrei ascoltare e diffondere un bel nulla, credetemi.
Però loro vengono da me.
Parlano.
Raccontano.
Guardano a destra, a sinistra, poi si chinano verso di me e sussurrano "ma lo sapevi che...."
E giù una roba grande come la Birmania.
Porca miseria, perchè a me?!
Uno dei passi fondamentali dell'ottuplice sentiero è la Retta Parola.
E io lo so.
Però le persone vengono da me, si confidano, ripongono in me fiducia, si fidano.
Io sono importante.
E se racconto i fatti loro divento ancora di più importante.
Che tristezza.
Scommetto che Siddharta, seduto nell'atrio di una grande ditta, con tutta che gli vengono a raccontare i fatti loro farebbe uguale.
Forse no.
Acc!

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